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   Far nondimeno mille oltraggi, e mille
   Fiere vergogne. i l’hò schernito sempre,
   E fin che sangue hà ne le vene havuto
   Come sansuga l’ho succiato. hor duolsi
   Che più non l’ami, e di dolersi havrebbe
   Giusta cagion, se mai l’havessi amato.
   Amar cosa inamabile non puossi.
   Com’erba, che fu dianzi à chi la colse
   Per uso salutifero, sì cara;
   Poi che ’l succo n’è tratto, inutil resta,
   E come cosa fracida s’abhorre.
   Così costui, poi che spremuto hò quanto
   Era di buono in lui, che far ne debbo
   Se non gettarne il fraccidume al ciacco?
   Hor vo’ veder se Coridone è sceso
   Ancor ne la spelonca. Oh che fia questo?
   Che novità vegg’io? son desta, ò sogno?
   O son ebra, ò traveggio? sò pur certo,
   Ch’era la bocca di quest’antro aperta,
   Guari non hà, com’hora è chiusa? e come
   Questa pietra si grave, e tanto antica,
   Allo ’mprovviso è ruinata à basso?
   Non s’è gia scossa di tremuoto udita.
   Sapessi almen se Coridon v’è chiuso
   Con Amarilli; che del resto poi
   Poco mi curerei. dovria pur egli
   Esser giunto hoggimai, si buona pezza
   E che partì, se ben Lisetta intesi.
   Chi sà che non sia dentro, e che Mirtillo