il cervo
E camminando ero già non lontano alla nave ricurva,
quando fu certo un celeste che m’ebbe pietà, così solo:
chè sul mio stesso cammino mandò un gran cervo di corna
alte. Ad un fiume scendeva dal pascolo della foresta
esso per bere: soffriva per certo la fersa del sole.
Mentre che uscia dalla selva, nel mezzo alla spina del dorso
io lo colpii: lo passò parte parte la lancia di bronzo.
Cadde bramendo per terra e la vita via che volò via.
Sopra gli venni, e la lancia di bronzo strappai dalla piaga
e la riposi per terra e lasciai: ma raccolsi e divelsi
io d’ogni parte de’ rami e de’ giunchi, e ne feci una corda
bene intrecciata, a due versi, per quanto una stesa di braccia,
e i quattro piedi tra loro legai dell’orribile mostro.
Lo caricai, lo portai sulle spalle alla nave mia nera,
puntellato sull’asta con ambo le mani, che l’una
io non potevo recare al mio peso: tanta era la bestia.
Lo scaricai sul davanti al naviglio, e feci animo agli altri,
presso venendo a ciascuno, con dolci parole di miele:
“Cari, no che non andremo, per quanto il dolore ci affanni,
giú nella casa del Buio, se il giorno di morte non viene
prima. Suvvia! fino a che c’è mangiare e c’è ber nella nave,
ci si ricordi del cibo, che non ci tormenti la fame„.
Dissi, ed a quelle parole ubbidirono presto i compagni,
e si scoprirono, e al lido del mare che mai non si ferma,
meravigliarono avanti quel cervo: tant’era la bestia.
Ma dopochè satollarono gli occhi di quella veduta,
l’acqua alle mani si diedero, e diedero mano al convito.
Tutto quel giorno così per infino al tramonto del sole
là banchettammo con carni indicibili e vino soave.
Quando poi il sole calò, che ci venne il crepuscolo sopra,
ecco che noi ci ponemmo a dormire, al frangente del mare.