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dall’odissea di omero 77

Ecco, e i compagni mandai dentro terra per prendere voce,
quali vi fossero genti nudrite di cibo terreno;
scelsi due uomini e terzo mandai un araldo con loro.
Presero, usciti, un sentiero spianato, pel quale sui carri
quelli dell’alte montagne portavano al borgo la legna.
E s’imbatterono in una fanciulla che andava per acqua,
figlia valente d’Antìfate, il re dei Lestrigoni; scese,
fuor delle mura, alla fonte che mena buon’acqua di vena,
detta l’Artacia: da quella in città trasportavano l’acqua.
Fattisi presso di lei le parlarono, e chiesero quale
fosse il re loro e su quali il re loro stendesse l’impero.
Ella mostrò prontamente la casa molto alta del padre.
Quando nell’inclita casa essi furono entrati, la donna
vi ritrovarono, quale un gran monte, e sì n’ebbero orrore.
Essa dall’àgora Antìfate a casa chiamava, l’illustre,
proprio marito, che in vero pensò cruda morte per quelli.
Uno abbrancò dei compagni e con quello egli ruppe il digiuno:
presero gli altri la fuga e mi giunsero salvi alle navi.


i giganti lanciatori di pietre

Egli levò la città a rumore con l’urlo di guerra:
chi d’una parte, chi d’altra i gagliardi Lestrigoni, udendo,
trassero a mille, non simili ad uomini, pari a Giganti;
e ci lanciavano pietre, che uomo alzerebbe a fatica,
tolte alle rupi, e fu gran sgretolìo per le navi e fragore,
per il morire degli uomini e per lo spezzarsi dei legni.
E come pesci infilzandoli andavan con l’orrida cena!
Mentre uccideano così gli addentrati nel porto profondo,
io la mia spada appuntita cavai dal mio fianco e con essa
via che le funi tagliai della nave, ch’azzurra ha la prora.
Subito ai cari compagni, incorandoli, diedi il comando,
forza di remi e vogare, perchè si sfuggisse il malanno.