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dall’odissea di omero | 73 |
diedero il maschio del branco a me solo, per giunta. E nel lido
sacrificandolo al dio delle nuvole nere, che regna,
io ne bruciavo dei tocchi: ma egli di ciò non curava,
ma rivolgeva nel cuore in qual modo le navi lunate
tutte coperte di tolda, perissero e i cari compagni.
Tutto quel giorno così per in fino al tramonto del sole
banchettavamo con carni indicibili e vino soave.
E come il sole calò, come ci venne il crepuscolo sopra,
ecco che noi ci ponemmo a dormir sul frangente del mare.
L’Alba nel ciel mattutino stampava le dita di rose,
quando i miei cari compagni con fervidi detti esortai
che su montassero loro e sciogliessero i cavi d’ormeggio.
Furono presto montati e sederono tutti agli scalmi,
e via che in fila coi remi battevano il torbido mare.
Quindi seguimmo la rotta con nuova una pena nel cuore,
lieti scampati da morte, perduti dei cari compagni.
la terra dei venti
L’isola Eolia toccammo: nell’isola aveva una stanza
Eolo l’ippòtade, caro agli dei non mortali del cielo.
L’isola nuota nel mare, ma tutta all’intorno la cinge
forte muraglia di bronzo, ed a picco si leva la rupe.
Nati da lui nella casa dimorano dodici figli,
sei sono femmine e sei sono giovani ancora nel fiore:
esso le figlie le diede che fossero ai figli compagne.
Presso il lor padre così e la sollecita madre
sempre banchettano, e molte lor reca vivande la mensa,
e di profumo d’arrosto odorata la corte risuona
tutta nel dì; ma la notte vicino alle caste compagne
dormono sopra tappeti, su letti dai molti pertugi.
Dunque alla loro città noi giungemmo, alla bella lor casa.
E per un mese mi fece carezze e chiedeva ogni cosa,