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68 | traduzioni e riduzioni |
il modo d’uscire dalla grotta
Ed il Ciclòpe, gemendo con spasimi e smanie a tentoni
con le due mani, palpando, la pietra levò dalla bocca;
e sull’entrata sedeva egli stesso, con spante le mani,
per abbrancare qualcuno che in mezzo alle pecore uscisse.
Egli me bimbo così sperava in suo cuore, che fossi;
mentre pensavo e pensavo ad un modo che fosse il migliore,
per ritrovar come scioglier da morte i compagni e me stesso.
Gli accorgimenti e le vie nel pensiero tessevo e stessevo,
chè si trattava di vita, e da presso era grande sventura.
Questo a me dunque nel cuore pareva il consiglio migliore.
V’erano pecore maschi, ben grassi, ben folti di lana,
grandi, vistosi, ch’avevano il vello color di vïola.
Io li legavo tra loro, tacendo, con vimini attorti
su cui dormiva il Ciclòpe gigante, dal cuor senza legge.
A tre a tre li prendea. Quel di mezzo portavasi un uomo;
gli altri da un lato e dall’altro salvavano, andando, i compagni:
ogni tre pecore un uomo portavano. Quanto a me, io —
c’era un ariete, il molto più bello di tutta la greggia —
presolo al dorso e voltatomi sotto la pancia vellosa,
stavo, ed intanto le mani alla lana foltissima, immensa,
sempre tenevo contorte, e pendeva con cuor paziente.
E sospirando così aspettammo il chiarore dell’Alba.
l’ariete maggiore
L’Alba nel ciel mattutino stampava le dita di rose,
quando di fuor dalla grotta n’uscirono a pascere i maschi,
mentre non munte le femmine intorno a’ graticci, le poppe