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dall’odissea di omero 63

Giove ospitale, che viene con gli ospiti degni d’onore„.
     Dissi, e colui con un animo senza pietà mi rispose:
“Ospite, un bimbo tu sei, o venuto di molto lontano
sei, che m’esorti ad avere o rispetto o timor degli dei:
non i Ciclòpi si curan di Giove ch’ha il nembo per carro,
nè d’altri Numi beati, chè molto noi siamo più forti.
Nè per timore dell’odio di Giove, asterrei la mia mano
dai tuoi compagni e da te, se non fosse il mio cuore a volerlo.
Ora mi di’ dove qua l’ormeggiasti la nave ben fatta:
forse nell’ultima punta, o qui presso? chè voglio saperlo„.
     Questo diceva tentando: io che molte ne so, me n’avvidi,
sì che in ricambio gli dissi così con accorte parole:
“Me la spezzò Posidòne, lo Scuoti-la-terra, la nave;
alla scogliera gettandola all’orlo del vostro paese.
Ad una punta l’urtò, che dal vento era tratta alla spiaggia:
io con costoro sfuggii alla morte che piomba d’un tratto„.


il pasto del ciclòpe

     Dissi, nè quegli, con animo senza pietà, mi rispose:
ma d’uno slancio gettava nel mezzo ai compagni le mani.
Due n’afferrò, li battè come fossero cuccioli, a terra,
giù. Le cervella scorrevano intorno e inzuppavano il suolo.
Quindi tagliatili pezzo per pezzo, imbandì la sua cena.
Come un leone, mangiava, nutrito ne’ monti, nè dietro
visceri o carni lasciava, nè l’ossa con quella midolla.
Noi oh! piangendo inalzammo le mani al dio Giove, vedendo
l’opera trista, chè il cuore non dava consiglio veruno.
Quando il Ciclòpe si fu riempita la grande ventraia,
d’uomini carne mangiando e bevendoci su latte puro,
dentro la grotta giaceva sdraiatosi in mezzo alle greggi.
Ed io pensai tra di me, meditando nell’anima grande,
farmegli presso e tirata la spada appuntita dal fianco,