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dall’odissea di omero | 53 |
l’orto d’alcinoo
Fuor del cortile, all’uscita, vi verzica subito un orto
grande, di quattro moggiate: ha d’ogni suo lato la siepe.
Prima, vi vengono su lunghi alberi in grande rigoglio,
meligranati con peri e con meli di lucidi frutti,
con le ficaie soavi e gli olivi di grande rigoglio.
Non il fruttar suo mai questi alberi perdono, e dura
sempre di verno e d’estate per quanto è l’anno, chè sempre
v’alita un vento che questi v’ingenera, quelli matura;
tanto che, pera su pera, v’invecchiano, e mela su mela,
grappolo ancora su grappolo, e via via fico su fico.
Quindi, è piantata una vigna, una molto fruttifera vigna:
d’essa, in uguale pianoro la parte che guarda a solivo
cuocesi al sole, e così quei grappoli colgono, altrove
pigiano; in quella a bacìo son qua verdi uve che il fiore
mettono appena, là altre che invaiano gli acini sotto.
Poi, dopo l’ultima fila, in simmetriche aiuole, gli ortaggi
crescono, d’ogni ragione, che verdi vi spiccano sempre.
Sgorgano qui due fonti, che l’una per quanto è l’orto
spargesi, l’altra il cortile attraversa di sotto la soglia
sino alla casa alta; ove in città si veniva per acqua.
odisseo lontano dalla patria
Fui nove giorni dei venti in balìa, ma nel decimo, a notte
nera, ad Ogigia gli dei mi sospinsero, dove Calipso
abita, la riccioluta, terribile dea, che m’accolse;
e coralmente mi amava e nutriva, e dicea che m’avrebbe
salvo per sempre da morte e sottratto a vecchiezza per sempre.