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dall’iliade di omero | 43 |
gode in suo cuore, ed inoltre per tutti i suoi giorni egli spera
di rivedere il diletto suo figlio tornato da Troia;
io, per contrario, oh! del tutto infelice che in Ilio la vasta
m’ebbi fortissimi figli e nessuno, ti dico, mi resta.
L’orrido dio della guerra di molti snodò le ginocchia:
uno restavane solo e guardava le mura e noi stessi:
tu poco fa l’uccidesti mentr’e’ difendea la sua terra:
Ettore! Ed ora per lui son venuto al navil degli Achei,
per liberarlo da te, che ti porto un riscatto infinito.
Ora rispetta gli dei e me stesso commisera, Achille,
col ricordarti tuo padre: ed io sono più misero ancora
e tollerai ciò che niuno mortale che sta sulla terra:
tender la mano alla bocca dell’uomo che uccise i miei figli!„
il cuore d’achille
Disse, e svegliò nel Pelide l’amore di piangere il padre;
e per la mano lo prese, e scostò da sè un poco il vegliardo.
E tutti e due ricordando, l’uno Ettore morte-d’eroi,
tristo piangeva accosciato davanti de’ piedi d’Achille;
ecco ed Achille piangeva il suo padre, altre volte piangeva
Patroclo; e grande lamento mandava per tutta la casa.
Ma come dunque fu sazio di pianti il divino Pelide,
subito sorse dal seggio ed alzò con la mano il vegliardo,
commiserando quel capo sì grigio, quel mento sì grigio:
mise la voce e parlò le parole dall’ali d’uccelli:
“Misero! Oh! sì che di pene n’hai molte in tuo cuore sofferte!
Come hai osato venirtene, solo, al navil degli Achei,
qui nella vista dell’uomo, che molti tuoi nobili figli
nelle battaglie spogliai? E di ferro, per certo, il tuo cuore.
Ma, finalmente, suvvia, nella sedia t’assetta: l’affanno
abbonacciarsi lasciamo nel cuore, per quanto dolenti:
chè non un utile viene dal pianto che il brivido desta.