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dall’iliade di omero | 13 |
il ritorno dei messi
Quando poi furono nelle capanne del tiglio d’Atrèo,
oh! con i calici d’oro li accolsero in piedi gli Achei,
e chi di qua chi dì là lor facevano molte domande:
ma domandava per primo Agamennone, Capo di genti:
“Dimmi su, molto lodato Odisseo, gran vanto di noi:
vuole egli dunque difendere il fuoco nemico alle navi
o, no, rispose, e la collera ancora ha nell’anima grande?„
E gli rispose a sua volta il tenace divino Odisseo:
“Figlio d’Atrèo, glorioso, Agamennone, Capo di genti,
so che colui non la vuole smorzare la collera, ch’anzi
più si riempie di furia, e te sdegna ed insieme i tuoi doni.
Dice che tu, tu, ci devi pensare tra mezzo i tuoi d’Argo,
come le navi e gli Achei tu li possa salvare; poi ch’esso,
m’ha minacciato ch’al primo apparir dell’aurora, nel mare
esso trarrà le sue navi, fornite di ponti, ricurve.
Anzi anche gli altri ci disse che noi confortare dovremmo
a risalpar per le case, poichè mai non vedrete la presa
d’ilio la ripida, chè sopra lei Giove il vasto-tonante
ha la sua mano distesa, e ripreso hanno cuore le genti...„
il leone e l’asino
Giove che ha seggio nell’alto spirò la paura in Aiace:
perso ristè: si gettò sulle spalle il settemplice scudo,
esterrefatto guardò nella turba e pareva una fiera,
mentre voltavasi a tratti, scambiando di rado i ginocchi.
Come un leon di pel rosso che via dal recinto de’ bovi
cacciano e seguono i botoli e gli uomini della campagna: