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traduzioni e riduzioni |
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“Oh! fossi in Fiandra!„ disse il conte: “ho fame,
Imperadore, e la mia gente ha fame.
Questo paese, il diavolo l’ha fatto:
ci abbiam mangiato, invece di buon grano,
topi, e rospi talora, i dì di scialo.
Se mi offriste, per dar questa scalata,
l’oro di Salomone tutto quanto,
no! vado in Fiandra ove si mangia il pane„.
“Il buon Fiammingo! egli convien che mangi!„
con un sorriso disse allor re Carlo.
“Stolto che sono! cerco un prenditore
di terre, e meco è Eustacchio, il buon falcone!
Eustacchio, a me! Dura è, vedi, Narbona!
ell’ ha trenta castelli, ell’ ha tre fossa,
una cert’aria ell’ ha d’assai scontrosa;
una trincea si vede ad ogni porta,
e guarda! là sei vecchie grandi torri.
Non s’è giunti alla fine, che bisogna
farsi da capo, o tòrsi giù... che importa?
Eustacchio, non sei tu l’aquila?„
“Un pàssero,
un fringuello, mio re! Torno alla fratta,
torno al mio nido. Vogliono la paga
le mie genti, ed io son povero in canna:
niuno che dia per me, senza contanti,
un colpo d’azza: sciagurati! Quanto
a me, sono annoiato: mi fa sangue
il vecchio pugno. Sono pesto, affranto.
Ci si dilomba, Sire, alle battaglie.
S’odia alla fine ciò che già s’amava.
Ci si consuma, ci si sloga, s’hanno
la gotta ai reni, a piedi e mani i calli.
Torna gallina, chi partì già falco.