180 |
traduzioni e riduzioni |
|
Stupida cosa il fermarsi, il conoscersi un fine, il restare
sotto la ruggine opachi nè splendere più nell’attrito.
Come se il vivere sia quest’alito! vita su vita
poco sarebbe, ed a me d’una, ora, un attimo resta.
Pure, è un attimo tolto all’eterno silenzio, ed ancora
porta con sè nuove opere, e indegno sarebbe, per qualche
due o tre anni, riporre me stesso con l’anima esperta,
ch’arde e desia di seguir conoscenza: la stella che cade
oltre il confine del cielo, di là dell’umano pensiero.
Ecco mio figiio, Telemaco mio, cui ed isola e scettro
lascio; che molto io amo; che sa quest’opera, accorto,
compiere: mansuefare una gente selvatica, adagio,
dolce, e così via via sottometterla all’utile e al bene.
Irreprensibile egli è, ben fermo nel mezzo ai doveri,
pio, che non mai mancherà nelle tenere usanze, e nel dare
il convenevole culto agli dei della nostra famiglia,
quando non sia qui io: il suo compito e’ compie; io, il mio.
Eccolo il porto, laggiù: nel vascello si gonfia la vela:
ampio nell’oscurità si rammarica il mare. Compagni,
cuori ch’avete con me tollerato, penato, pensato,
voi che accoglieste, ogni ora, con gaio ed uguale saluto
tanto la folgore, quanto il sereno, che liberi cuori,
libere fronti opponeste: oh! noi siam vecchi compagni;
pur la vecchiezza anch’ella ha il pregio, ha il compito: tutto
chiude la Morte; ma può qualche opera compiersi prima
d’uomini degna che già combatterono a prova coi Numi!
Già da’ tuguri sui picchi le luci balenano: il lungo
giorno dilegua, la luna insensibile monta; l’abisso
geme e sussurra all’intorno le mille sue voci. Venite:
tardi non è per coloro che cercano un mondo novello.
Uomini, al largo, e sedendovi in ordine, i solchi sonori
via percotete: ho fermo nel cuore passare il tramonto,
ed il lavacro degli astri di là: fin ch’abbia la morte.
Forse è destino che i gorghi del mare ci affondino; forse,
nostro destino è toccar quelle isole della fortuna,