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poesia popolare eroica civile | 179 |
Poi quando cadde la neve, e bello
sarebbe stato correre, tanto;
dovè partire pure il fratello,
ed ecco che ora le sta d’accanto„.
“E quanti dunque siete ora voi
se quei due sono nel Paradiso?
“Sette„ rispose: “sette siam noi!„
meravigliando tutta nel viso.
“Ma sono morti quei due! ma sono
lassù! son anime, anime elette!„
“Che!„ ripeteva sempre d’un tono:
“No, sette siamo: no, siamo sette„.
ulisse
Re neghittoso alla vampa del mio focolare tranquillo
star, con antica consorte, tra sterili rocce, non giova:
e misurare e pesare le leggi ineguali a selvaggia
gente che ammucchia, che dorme, che mangia e che non mi conosce.
Starmi non posso dall’errar mio: vuo’ bere la vita
sino alla feccia. Per tutto il mio tempo ho molto gioito,
molto sofferto, e con quelli che in cuor mi amarono, e solo;
tanto sull’arida terra, che quando tra rapidi nembi
l’Ìadi piovorne travagliano il mare velato di brume.
Nome acquistai, che sempre errando con avido cuore
molte città vidi io, molti uomini, e seppi la mente
loro, e la mia non il meno; ond’ero nel cuore di tutti:
e di lontane battaglie coi pari io bevvi la gioia,
là nel pianoro sonoro di Troia battuta dal vento.
Ciò che incontrai nella mia strada, ora ne sono una parte.
Pur, ciò ch’io vidi, è l’arcata che s’apre sul nuovo:
sempre ne fuggono i margini via, man mano che inoltro.