100di quel Cassio toscano, che si dice,
morto che fu, bastassero le scara-
battole de’ suoi scritti al capannuccio.
Sia Lucilio, diciamolo, faceto
e spiritoso; pulizia di lima 105abbia me’ di colui che s’è provato
prima in cotale poesia di villa,
che i Greci non toccarono, e di tutti
quanti sono i poeti antichi; ma
se il fato avesse atteso il nostro tempo 110per farlo nascer oh! molto di dosso
si scrollerebbe, e tutto mozzerebbe
quel che il pensiero strascica di coda;
si gratterebbe, per trovare un verso,
sovente il capo, e sino al vivo l’ugne 115si roderebbe. Lo stil volgi e frega
e frega, o tu che scrivi, se lo scritto
vuoi che si legga la seconda volta.
Non t’allarmare acciò t’ammiri il volgo:
sta contento a pochini che ti leggano 120e rileggano. Pazzo! ami piuttosto
che il pedante li porti alla scoletta,
i tuoi versi, e li compiti? Non io; che mi basta l’applauso dell’orchestra,
come uscì a dire Arbuscula, la volta 125che fu fischiata, non badando agli altri.
M’ho a risentire se mi pinza quella
cimice di Pantilio? M’ho a crucciare,
se Demetrio mi stuzzica, alle spalle?
se di me taglia lo scioccon di Fannio 130parassita d’Ermogene Tigellio?
Gàrbino queste mie scritture a Plozio
e a Vario; a Virgilio e Mecenate;
a Valgio e Ottavio, ed al mio bravo Fusco;
magari! E me le lodino i due Visci.