con quel suo verso delle tre battute.
L’epopea di battaglia è lavorata
da Vario come da nessuno. Quella
paesana e gentil, le villerecce 70muse l’hanno a Virgilio conceduta.
Questa, dopo che invan ci si provava
l’Atacino Varrone, e certun altro,
era ciò ch’io potea scriver di meglio,
e all’inventor m’inchino; che non mai 75oserei di strappare a quella testa
quella corona che ad onor la cinge —
ma dissi che nel corso e’ s’impaluda
e che in quel tal motriglio ch’egli mena
c’è da togliere più che da lasciare — 80Bene, e tu dimmi, tu che la sai lunga:
nulla in Omero da riprender trovi?
Lucilio stesso non ritrova in Accio
tragico, nulla, e’ comico, a cassare?
Non se la ride anche de’ versi d’Ennio 85perchè non hanno il peso che ci vuole?
E li appunta parlando di sè stesso
come non di migliore e di maggiore.
Che ci impedisce che pur noi leggendo
gli scritti di Lucilio, scrutiniamo 90se dell’ingegno o delle cose fosse
la natura selvatica che a lui
negava i versi un po’ tagliati meglio,
un po’ meglio scorrevoli di quelli
ch’uno può fare, quando, solo inteso 95di chiudere alcun che dentro sei piedi,
gongola di svesciarne un centinaio
avanti pranzo ed altrettanti dopo?
Proprio come la testa (una fiumana
a dirittura che trascina e bolle)