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dall’odissea di omero 91

prima era ito. E da prima solevano i giovini a caccia
seco menarlo, alle capre selvatiche, ai daini, alle lepri:
ora giacea spregiato, perchè lontano il signore,
sul concime, che, molto, di contro le porte, in un mucchio
gli era, di muli e di buoi, versato, in fin che gli schiavi
l’arrecassero ai campi per concimare il podere.
Quivi giacea cane Argo, che brulicava di zecche.
Mo’, poichè Odisseo guardò, che gli era vicino,
ecco la coda menò, gettò giù ambo gli orecchi,
ma non potè più anche avvicinarsi al signore
suo. Ma questi da parte si terse, vedutolo, il pianto,
senza che Eumeo lo vedesse, e da lui senz’altro richiese:
     Ben mirabile, Eumeo, star simile cane nel concio!
Bello, per certo, di forme, ma non so bene, se oltre
questa figura, soleva anch’essere rapido al corso,
o se così come sono degli uomini i cani da mensa
era, di quelli che i loro signori mantengono a pompa.
     Cui tu rispondendo dicesti, Eumeo porcaio:
Oh! ben questo è cane di chi lontano moriva!
S’egli or tale di forme, se fosse or tale di fatti,
quale lui Odisseo lasciava, movendo per Troia,
ecco ne stupiresti la leggerezza e la forza.
Chè non gli sfuggiva nel più gran fitto del bosco
bestia ch’egli levasse: ei ben sapeva la traccia!
Ora è involto nel male, perchè gli è morto il signore
fuori, e di lui non hanno le femmine frivole cura.
Quanto agli schiavi, se più non c’è sopra essi il signore,
ecco, non più faccenda riescono a fare, che valga.
Mezza di sua virtù Zeus largotonante si porta,
d’uomo, appena che il dì, giù, del servaggio gli arriva.
     Questo ei disse, ed insieme entrato le comode case
dritto alla sala andò ver gli ammirevoli amanti.
     Argo, il destino lo prese dell’invisibile morte
subito che Odisseo ebbe, ai venti anni, veduto.