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n’era da tanto lontano! Ed un Dio lo cingeva di nebbia.
E’ si levò con un lancio, e guardò la sua terra natale,
e si compianse d’un tratto e ambedue le sue coscie percosse
con tutt’aperte le mani, e piangendo parlò questo detto:
“Misero me, di quali anco mortali alla terra son giunto?
son vïolenti e selvatici e non servatori del giusto,
oppur dell’ospite amici, ed in cuore tementi dei numi?
Dove le molte ricchezze porto io, che qui giacciono? dove
vagolo io stesso? oh! rimasto pur fossi là presso i Feàci!
lo mi sarei da qualch’altro de’ principi grandi condotto,
che carezzato m’avrebbe e m’avrebbe concesso il ritorno.
Ora nè dove riporle so bene, e non quivi per certo
voglio lasciarle, che d’altri non vengano preda alle mani.
Ahi! ahi! no, che non erano in tutto assennati nè giusti
i condottieri del popolo ed i reggitori Feàci,
che mi condussero ad altro paese, e dicevano in vero
di ricondurmi, e nol fecero, ad Itaca, l’isola chiara.
Giove ospitale ne faccia vendetta, che veglia pur sopra
gli altri del mondo, e punisce chiunque degli uomini falla.
Ora su via che codeste ricchezze le conti e le veda,
che non me n’abbiano alcune rubate sul cavo naviglio„.
Come ebbe detto, contava i bellissimi tripodi insieme
ed i bacili, con l’oro e le splendide vesti tessute:
e non mancavane nulla: ma egli la patria chiamava
querulo, errando sul lido del mare dal molto sussurro.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
avanti casa sua: argos
Tali parole così parlavano l’uno con l’altro.
Su, un cane levò, sdraiato, la testa e gli orecchi:
Argo; di Odisseo lunganime; quello che un tempo
allevò, ma non ne godè, chè ad Ilio la sacra