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dall’odissea di omero | 83 |
Disse, e colui che lampeggia in un attimo, un’erba mi porse,
che dalla terra strappò, mostrandone a me la natura:
era di radica nero, ma simile a latte il suo fiore:
moly lo chiamano i numi: difficile cosa strapparlo;
gli uomini, almeno, mortali; ma possono tutto gli dei.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
la via tremenda
Quivi per quanti son giorni, giungendo alla fine dell’anno,
banchettavamo con carni indicibili e vino soave.
Poi quando l’anno fu pieno, che intorno si volsero l’Ore,
sì mi chiamarono fuori e mi dissero i dolci compagni:
“Ammalïato, ricordati, è tempo, la terra natale,
s’egli è pur detto di dei, che tu salvo riesca e che giunga
alla tua casa dall’alto colmigno, alla terra nativa!„
Ecco che allora io salii sul bellissimo letto di Circe;
per le ginocchia la presi pregando: e la dea m’ascoltava:
“Circe, oh! m’adempi ora mai la promessa, che già promettesti,
di rimandarmi alla casa, chè l’animo già vi si lancia,
come degli altri compagni, che struggono il caro mio cuore
me circondando di pianti, ogni volta che tu t’allontani„.
Questo le dissi, e via via mi rispose la dea delle dee:
“O Laertiade celeste, Odisseo dalle molte accortezze,
mal vostro grado non più dimoratemi nella mia casa.
Ma primamente altra via vi conviene compire, ed andare
alla dimora del Buio e dell’orrida Persefoneia,
l’anima ad interrogar di Tiresia, il veggente di Tebe,
cieco profeta, del quale oltre morte lo spirito è saldo;
cui, ben che morto, concesse il conoscere Persefoneia:
solo il conoscere a lui; mentre gli altri son ombre che vanno„.
Tanto ella disse: io sentii mi s’infrangere l’anima cara:
pianto facevo accasciato sul letto, nè più mi voleva