Pagina:Pascoli - Antico sempre nuovo.djvu/99


la poesia lirica in roma 85

l’Egitto, questo tempo dei piccoli tiranni parve antico, si tornò a questi poeti, mezzo dimenticati, con l’interesse con cui si guardano le reliquie e le rovine. I dotti grammatici si provarono a studiarne la vita, a raccoglierne e dividerne le opere. Poi li imitarono; e così rifiorì l’elegia. Allora s’intuì che il tipo d’elegia che avesse più l’impronta della sua origine ed essenza, era quello di Mimnermo; e così Mimnermo fu il più imitato. E il piccolo epigramma, che in origine era un’iscrizione funebre e votiva, divenne la forma più amata di poesia e servì all’amore e all’odio, alla satira scherzosa e alla riflessione severa. Si ripetè in certo modo la storia dell’elegia sua madre: dalla morte all’amore, a tutto. Esso accolse anche metri melici e iambici. Ma l’iambo dopo la consacrazione fattane dal dramma, difficilmente si adattò a vivere fuor del dialogo e dell’azione, a cui, del resto, era nato. E così nacquero i mimiambi, scenette meravigliose della vita cittadinesca e popolare. E vicina ad essi fiorì la poesia bucolica coi suoi quadretti (εἰδύλλια) della vita rustica, pastorale, marina; la qual poesia s’ispirò al melos e accolse in sè molti motivi e lesbiaci e più antichi; non ricusando qualche volta di gareggiare col mimiambo e dialogare anch’essa qualche scena di città. Sì il mimiambos e sì l’eidyllion sono, o vogliono essere, in lingua popolare, l’uno in ionico, l’altro in dorico: e per il metro e il tono diversi, l’uno ha dall’iambo zoppo di Hipponacte come maggiore vita, così maggiore volgarità e licenza, l’altro dall’esametro d’Omero un’idealità semplice e antica, che è incanto dell’anima.