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la poesia lirica in roma | 83 |
II.
A me pare simile a Dio quell’uomo,
quale e’ sia, che in faccia ti siede, e fiso
tutto in te, da presso t’ascolta, dolce
mente parlare,
e d’amore ridere un riso; e questo
fa tremare a me dentro il petto il cuore;
ch’ai vederti subito a me di voce
filo non viene,
e la lingua mi s’è spezzata, un fuoco
per la pelle via che sottile è corso,
già non hanno vista più gli occhi, romba
fanno gli orecchi,
e il sudore sgocciola, e tutta sono
da tremore presa, e più verde sono
d’erba, e poco già dal morir lontana,
simile a folle.
Questa poesia, passando il mare, incantava e beava gl’Ioni: Solone vecchio voleva imparare una delle odi di Sappho e morire1. I quali Ioni presto s’impadronirono come già dell’epos, così del melos eolico. Anacreonte2 è un imitatore dei Lesbii, sebbene molto derivi anche dall’elegia ionica. Per esempio, il fg. elegiaco 94, nel quale biasima chi presso il cratere pieno parla di risse e della guerra lagrimosa, ricorda il suo contemporaneo Xenophane. È vero che egli non vuole nemmeno i discorsi di virtù e di sapienza, sì di poesia e d’amore. E certo derivò in qualche modo da Mimnermo quello che era il motivo dominante delle sue poesie autentiche, se dominò in quelle de’ suoi imitatori e contraffat-