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la poesia lirica in roma | 79 |
media e sì la tragedia. Già alcune loro poesie erano piccole tragedie e comedie, come s’induce, per es., dal fg. 74, di Archilocho, in cui parla Lycambe, e più dalle imitazioni di Orazio1.
Dai paesi ionici passiamo nell’Aeolia, e specialmente nell’isola «più musicale di tutte», Lesbo; dove il poeta uomo, o tra le armi o tornato dalla navigazione, cantava tuttavia l’amore nei lieti conviti; dove il poeta donna esprimeva tutte le cose belle e tutti i gentili affetti con la cetra esperta d’imenei. Alcaeo dice: «o Giglio, nel seno ti accolsero le pure Chariti»2. Sappho: «stammi in faccia, caro, e spandimi la grazia che hai negli occhi»3. Sembrano dolci bisbigli sussurrati nel convito. Ma i conviti di Alcaeo non sono sempre così placidi. «Ora bisogna inebbriarsi e bere di forza; è morto Myrsilo»; così esclama al sentir la morte del tiranno4. In un banchetto, egli al suo fratello, reduce da battaglie in paesi lontani, diresse il saluto: «Venisti dai confini della terra, riportandone un’elsa d’avorio legata d’oro...»5 Questi e altri accenni ricordano l’elegia del primo tipo; e sono conviviali nel tempo stesso che stasiotici, come attesta Aristotele per cui è melos scolion una poesia coriambica contro Pittaco6. E nelle poesie simpotiche entrava spesso l’amore, come nelle