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la poesia lirica in roma 71

Tyrtaeo1:

Essere morto! è pur bello, se il prode tra i primi campioni
     cadde così, per la sua patria pugnando da eroe.

Odio alla vita, o guerrieri! ed il nero destino di morte
     prediligetevelo come la luce del dì.

Di morte in questa prima forma d’elegia è il ricordo in tutti a ogni tratto; del banchetto, dove ella era nata, è traccia più in Archilocho, in quello che era nel tempo stesso scudiero del dio della guerra e maestro nell’arte delle dee del canto, di quello per cui la lancia era pane e vino. I frammenti elegiaci di questo poeta conservano più il tipo originario, sebbene quasi in parodia. La confessione stessa d’aver lasciato «non volendo» il suo scudo presso un cespuglio, sembra essere fatta in un convivio, tra amici, ed è in stridente contrasto con le lodi che in simili convivii si dicevano, nello stesso metro, di quelli che sullo scudo erano riportati morti dalle battaglie. Egli invece sfuggì la morte; quanto allo scudo, ne acquisterà un altro non peggiore. In metro elegiaco egli domanda il vino per passare bene la notte lunga della crociera:

Spilla il vin rosso per fino alla feccia; chè stare di guardia
     senza vin rosso per noi non è possibile qui.

Ma con queste affermazioni audaci di vita siamo, sembra, lontani dal pensiero della morte che dominava nella elegia guerriera dei primi tempi. Eppure, no: anche in quella, dalla morte rampollava la vita. Il valore dà gloria sì al guerriero caduto e sì a

  1. Tyrt. 10, 1 e 2; n, 5 e 6; 12, 35 B.