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a giovinezza, chè prima la nostra città dalla vetta
minerà: tu sei morto che n’eri alla guardia, che salva
quella facevi, e le mogli assennate ed i piccoli figli;
che d’or in poi se n’andranno, per forza, su rapide navi,
e ben con esse ancor io, e pur tu, creatura, o verrai
meco, ove ad opere indegne di te sarai forse allogato,
per un padrone, non tenero no, faticando, od alcuno
te degli Achei prenderà, scaglierà d’una torre — qual morte! —
pieno di rabbia, perchè gli abbia ucciso il fratello od il padre
Ettore, od anche il figliuolo: chè molti, ben molti, gli Achei
furono che per sua mano si presero a morsi la terra:
ch’egli non èra di miele, tuo padre, nell’orrida mischia!
sì che per questa città di lui fanno lamento le genti;
ed indicibile ai tuoi genitori corrotto e dolore,
Ettore, hai dato; ed a me più di tutti rimane l’affanno.
Poi che morendo, dal letto tu non mi porgesti le mani,
nè mi dicesti una savia parola, la quale per sempre
ricorderei nelle notti e nei giorni, versando il mio pianto!»
Questo piangendo dicea: rispondevano al pianto le donne.
Quello della madre1:
«Ettore, d’ogni mio figlio, a quest’anima il molto più caro...»
Quello della cognata, di Helena2:
o Ettore, d’ogni cognato a quest’anima il molto più caro...»
Udiamo ancora3:
Bada allorchè della gru tu ascolti la voce nell’alto;
chè di lassù, dalle nuvole, ogni anno ella manda lo squillo. Dell’aratura ti porta il segnale, ed il tempo ti mostra già delle pioggie, ed il cuore suol mordere a chi non ha bovi. </poem>