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IV.

Invero a me non paiono ragioni buone quelle di codesti difensori nostri. Specialmente l’ultima appaga poco. Se c’è negli antichi scrittori il bene, c’è anche il male; se li assumiamo per il bene, dobbiamo gettarli per il male: dire quello che Socrate in Platone:

«Daremo dunque di spugna, dico io, a tutte sifatte novelle, cominciando da questi versi:

Meglio vorrei servire per opera in casa d’un altro,
D’un pover’uomo che assai sottili facesse le spese,
Ch’essere il re di quanti mai morti la terra consuma;

e gli altri:

E che la casa ai mortali ed agli immortali apparisse
Orrida, piena di muffa, cui schifano ancora gli dei etc.

Queste e sì fatte baie tutte, con buona pace di Omero e degli altri poeti, rigetteremo, non come non siano poetiche e piacevoli a udire ai più, ma quanto più poetiche, tanto meno sono da udire da ragazzi e uomini, che devono essere liberi e temere più la servitù che la morte».

No no: cambiamo argomenti! Ci vuol altro: bisogna essere persuasi che i nostri studi hanno radice in un sentimento umano così primitivo e pertinace, e rispondono a una tale necessità intima del nostro essere, che per andar di tempo e per mutare di forme la società non potrà mai escludere dall’educazione de’ suoi novelli «migliori» le lingue morte e le letterature antiche. Lingue morte! letterature an-