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disse: Di legno or ci vorrebbe il manico,
e saldo. L’oleastro, essi rispondono,
è il fatto tuo. Prese egli il dono e, il manico
adattando alla scure, eccolo all’opera.
Or mentre sceglie gli alberi da fendere,
la Quercia, è fama, così disse al Frassino:
Noi s’ha, fratello, quello che si merita!
Bene: questa favola, in cui parlano alberi, può anche essere di quelle che Fedro compose — per sua disgrazia. — Su che punto, infatti, il liberto d’Augusto avrebbe assalito Seiano? Sul punto, pare verosimile, per il quale Seiano era più fieramente biasimato dall’universale: sull’odio alla casa di Òer manico e sull’ambizioso tentativo di succedere a Tiberio. Leggete a questo proposito il libro quarto degli Annali di Tacito . Ne apprenderete come Seiano prima amasse o fingesse d’amare Livilla, moglie di Druso figlio di Tiberio, poi la liberasse dal marito con un lento veleno, per aprirsi la via alle nozze con lei e al principato. Nell’appendice Burmanniana si legge questa favola:
Una lumaca s’invaghì d’un lucido
specchio, che avea trovato, ed, attaccatasi
a lui, si pose adagio a scombavarselo.
Nulla fare credea di più amorevole
a quella luce, che di macchie offenderla.
Come una scimmia poi lo vide sudicio,
Oh!, disse: tale disonor si merita
chi si concesse a tale vituperio.
Per le donne che a stolti si congiungono,
a sciagurati, è scritta questa favola.
Di tali donne non era appunto Livilla? Livilla che ben poteva paragonarsi a una lucida spera, poichè formae initio aetatis indecorae, mox pulcritudine praecellebat. Ma torniamo a noi.