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44 | antico sempre nuovo |
Fedro stesso dice nel Prologo del libro terzo (v. 33-50):
Due parole a chiarirti a che la favola
fu ritrovata. Fu lo schiavo, il povero
schiavo impotente: non osando esprimere
il suo pensiero, lo velò con simili
frasche, e così fu d’ogni noia libero.
Io, quanto a me, di quella sua viottola,
feci una strada, fantasie mettendovi.
di mio cervello ahimè! per mia disgrazia,
Che se l’accusa, i testimoni, il giudice
al sol Seiano non si riducevano,
io dicea: Ben mi sta, nè volea mettere
pannicelli alla piaga che mi brucia.
Oh! se ciò ch’è per tutti, un se l’appropria,
stolto, per un sospetto ch’ha nell’anima,
diremo i lupi avanti il gridar fuggono.
E pure anche quel tale io voglio m’abbia
per iscusato, chè non m’è nell’animo
di bollar questo e quello, ma degli uomini
vita e costumi in genere descrivere.
Dove sono le favole che Fedro inventò in calamitatem suam e che dovevano pungere Seiano?
Esistono alcune raccolte di favole in prosa, conosciute sotto il nome di Romulus, dal nome pseudonimo del raccoglitore e riduttore. Poichè quelle favole sono per gran parte riduzioni in prosa dei versi di Fedro. Ma in prosa molte sono ancora che non si trovano in versi, le quali si può arguire che fossero pure di Fedro e a noi non pervenissero nella loro veste originaria. Tra queste ultime si legge la seguente, dove appunto parlano alberi. La tradussi dalla verseggiatura, di cui rivestirono dette favole il Gude e il Burman:
Chi soccorre i nemici, alfin ci scapita.
Un tal che aveva la bipenne, agli alberi