Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
a giuseppe chiarini | 415 |
e in nessuna parte si posa, le atone sì prima e sì dopo l’accento principale non siano totalmente oscurate. Sta bene che più o meno esse tendano ad eclissarsi, ma questa lingua non è un dialetto, non è lasciata, ripeto, alle leggi naturali. All’oscuramento bisogna riluttare, se non si vuole che per disperazione gli italiani adottino un volapuk qualunque, per intendersi meglio e non avere continuamente negli orecchi quel solo ronzio delle flessioni, quell’ino, ano, are, ore, che non vogliono dir nulla o ben poco.
Non ci fosse altro, io credo che questa considerazione possa ottenere scusa se non lode a questi tentativi.
I quali sono diretti al fine di dare la cittadinanza italiana specialmente ai poemi epici dell’antichità; che non l’hanno, checchè si dica, non l’hanno! L’endecasillabo è un bel verso, è il bellissimo dei versi, se si vuole; e io l’amo d’amore unico. Bene; ma a tradurre Omero e Virgilio, non serve. Non serve, perchè quasi mai e non senza storpiare o mutilare la frase e l’imagine e l’idea, l’endecasillabo del traduttore può contenere l’esametro dell’autore, e quindi diverse sono, nel traduttore e nell’autore, le clausole, cioè tutto. Ricordi, caro maestro, il magnifico
parcere subiectis et debellare superbos;
e vada al Caro. Nel Caro è
perdonare a’ soggetti, accôr gli umili,
debellare i superbi.
Bravo!