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a giuseppe chiarini 411

quando nelle toniche è largo e chiaro. Dunque l’intensione è diminuita: quelle sillabe noi non diremmo allungabili o lunghe. E tuttavia non sono come le atone perfette. Vuol dire che, per allungarsi, esse esigono d’essere pronunziate, contro la fonetica comune, larghe anche quando dovrebbero essere strette, e magari col dittongo (uo, ie), mentre il dittongo dovrebbe essere abolito.

Avremmo dunque una gradazione di sillabe allungabili più o meno fuori della sillaba tonica. E ne nascerebbero spondei più o meno legittimi. E questi spondei equivarrebbero ad anapesti o dattili, sarebbero, cioè, ascendenti o discendenti, secondo che avessero l’arsi sulla prima o sulla seconda. E ciò nelle «Regole e Saggi» si vedrà chiaramente1.

Ma noi abbiamo anche parole in cui sono tre lunghe di fila; e queste mirabilmente gioveranno, specialmente nell’esametro, nel verso, cioè, che è per essere a noi più utile.

Noto è quell’accento che i romanisti chiamano il secondario dell’accentazione binaria. Si pensi: venire ha l’accento sulla penultima, sia nel latino sia nell’italiano: or come abbiamo noi da venire habet, la forma verrà? Da questo: venirà si pronunziò vènirá e poi verrà. Ciò, secondo me, per il metatonismo, per cui la sillaba che una volta fu radicale e

  1. [Le Regole», omesse in questo volume, seguono effettivamente nel volumetto citato a pag. 339; ma i «Saggi» non furono, nonchè raccolti e ordinati, neanche condotti a compimento dall'autore che pure ne aveva già in pronto parecchi, che in massima parte sono stati poi riprodotti di sui manoscritti nel volume Traduzioni e riduzioni, pag. 105 e segg., passim].