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dell’arte, mi sembra ora di dover dire che non si consumino in vani tentativi. Il Carducci o il d’Annunzio sono riusciti, più e meno, a un’opera d’incantesimo, di cantare a un modo ed essere intesi in un altro, e di rappresentare il presente e farci apparire in lontananza il passato; ma sono maghi essi, e i nostri giovani nè sono nè devono cercar d’essere. C’è chi atteggiando il pugno e le dita, al lunie della lucerna, fa apparire nel muro un lepre, un cane, un lupo. Non è una gran magheria codesta. Ora, o giovani, anche se ella vi fosse agevole, mi par meglio per voi e per noi che la lasciate stare. Meglio dipingerlo a dirittura il lupo e il cane e il lepre! Meglio è la cosa che l’ombra, e meglio il ritmo proprio che il riflesso; e contar sul senso e sul suono di ciò che si dice, non sull’effetto di ciò che non si dice. Chi si affida alla suggestione, prende all’opera sua un collaboratore: un collaboratore che poi, allo spartire del merito e del premio, vuol tutto per sè. Pensateci!

Intanto cerchiamo, se è possibile, di sostituire, specialmente nel tradurre dalle lingue classiche, il ritmo proprio al ritmo riflesso. Non è, questa ricerca, irriverente al Carducci, nè di tale che non si contenti delle Qdi Barbare: sarei proprio di difficile contentatura! No: anche il Carducci si provò a questa sostituzione, ci si provò il Mazzoni e alcun altro. E fu proprio lei, caro maestro, con quel suo magnifico discorso avanti le Odi Barbare, che avviò a questi tentativi. Ella invero, accogliendo il principio del Carducci, di ottenere con versi nostrani una somiglianza dei versi antichi letti ad accenti grammaticali, pur desiderava che almeno in certe sedi