prezioso ciottolo: bisogna levare la scoria e metterlo alla ruota: pulirlo.... oppur farlo o lasciarlo ripulire. Tutto il lavorìo, tra la poesia e la prosa, del Whitman assomiglia a quello, che noi possiamo supporre avvenisse nella mente dei primitivi, prima che enunziassero, con lente e misurate parole, l’idea loro che sembra nata a un parto col suo suono e col suo ritmo, e che rimase fissa per sempre. Pensavano e tacevano, quei primi. Era nel loro spirito un fervore caotico; e si faceva a poco a poco l’ordine, e soltanto allora sonava dalla loro bocca non loquace il verso che pareva congegnato dalla natura. Mettiamo, per vero, che un mondo nuovo di materia poetica si sia venuto formando «nel secolo affaccendato e affrettato». Bene: vedremo e forse già vediamo che la poesia elaborerà lentamente questa materia nuova, sceverando, ripulendo, vagliando, riducendo, finchè l’informe ed enorme orazione non divenga il piccoletto verso, difficile e facile, raro e necessario; finchè il grande albero non abbia messo fuori il piccoletto fiore, con quella armonia di petali e stami e pistilli e profumo e tinte. O perchè s’ha a credere che sol ora ci sia nel cervello del pensatore poeta un tal turbine, un tal vortice di idee? Ma sempre c’è stato, o illusi! E, con pace degli ammiratori del Whitman, nel cervello di Shakespeare e in quello di Dante ce n’era più che nel suo, credo. Eppure non aspirarono essi al più libero cielo della prosa, sebbene avessero ad esprimere una tale e tanta personalità e vita di scrittore e di mondo! Eppure si gingillavano con siffatti ninnoli, come la rima e i giambi, sebbene avessero a descrivere, non dico le mine e le fattorie, ma il fondo dell’universo