le barriere, il cielo della prosa, i gemiti pensosi, i frolli amori etc.), le anafore (la Musa... la Musa), le antonomasie (il sentimentalismo degli Amadigi e delle Ginevre), persino la personificazione mitologica... Già: «la Musa del tempo moderno» è appunto... la Musa; la vecchia Musa dell’Elicona. Ella è quel ch’era ed ha persino i fronzoli usurpati, nel lungo tempo da che è al mondo, alla retorica: soltanto ha buttato via i bei sandali, gli scarpini stretti che piacevano al Gauthier, e diguazza coi piedi nelle larghe ciabatte. La poesia senza più ritmo? la poesia in prosa? Ma la poesia elementare ed essenziale è ritmo solo! È il suono del cembalo al cui busso danza il selvaggio; è il moto della culla al cui dondolo chiude gli occhi il bambino! Dopo, s’è aggiunta una nenia al primitivo tam tam, una nenia al primitivo don don: una nenia di suoni senza senso, e poi di parole. E col tempo la musica e la poesia si sono sceverate, ma partendosi ognuna, come eredità comune, il ritmo. E così ora la poesia lo getterebbe come inutile, il ritmo, o come d’impaccio nel salire il Colorado? Oh! che là, i fiumi dell’Argento e delle Amazoni, non scorrono ritmicamente? Non picchiano là i fabbri rubesti ritmicamente il maglio sull’incudine? La enorme macchina non ansa e freme e balla e canta in cadenza con le mille sue braccia di Briareo? Aspira ella forse «al più libero, al più vasto, al più divino cielo della prosa»? Ahimè! gli uomini aspirano all’atassia? non andranno più al passo? O cercheranno il ritmo per tutto, fuorchè nella parola? L’affaccendato e affrettato secolo decimonono, che del resto è già morto o è per morire, sentirà il ritmo in sè e fuor di sè, ne’