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a giuseppe chiarini 389

suno le comprerà, codeste perle di struzzo. E si faranno e venderanno e compreranno, invece, i poemi di struzzo o di mastodonte? i poemi che non dando a divedere alcuna difficoltà d’esecuzione, cioè nessuna rarità, siano nel tempo stesso fuor della natura, non avendo il loro ritmo?

Ma sentiamo un grande maestro d’oltre Atlantico, Walt Whitman1: «Io credo giunto il tempo di spezzare essenzialmente le barriere di forma tra la poesia e la prosa, e che quella debba acquistare e mostrare le sue proprie caratteristiche, senza tener conto della rima e dei giambi, degli spondei e dei dattili, come regolatori e misuratori dell’armonia. Certo, poemi di terzo o quarto ordine, come i gemiti pensosi, le ballate e le leggende, la poesia delle guerre della vecchia Europa, e dei frolli amori delle donne isteriche, la poesia insomma continuatrice del sentimentalismo degli Amadigi e delle Ginevre, potranno ancora gingillarsi colla rima, col metro e con ogni altra esteriorità; ma la Musa delle praterie e dei picchi del Colorado, la Musa che canta la dignità e l’eroismo del lavoro, delle fonderie, delle mine e delle fattorie, la Musa del tempo moderno, di questo affaccendato ed affrettato secolo XIX, non può confondersi con siffatti ninnoli, ma deve, per esprimere la personalità e la vita dello scrittore, aspirare al più libero, al più vasto, al più divino cielo della prosa». Il fatto è che, per un caso strano, questo pezzo di prosa ha molti dei ninnoli «della vecchia Europa»: le metafore (spezzar

  1. Da un articolo di G. Ragusa Moleti nella «Flegrea», anno I, vol. III, fasc. V.