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nemmeno ad Ovidio, perchè la continuata successione d’un settenario, novenario, quinario o settenario e altro settenario, ci accontenta così, come una qualunque strofa nostrana. Ci accontenta così, e noi restiamo di qua dell’Ilisso e dell’Egeo, e a strane plaghe non navighiamo più. Manca in quelle strofe il «ritmo riflesso».

Ma che è questo ritmo riflesso? Ecco: leggiamo: «A te nessuno torrà il cavallo, nè tu, o Marco, puoi morire per mano di guerriero armato di spada o di clava o di lancia». Leggiamo ancora:

          A te niuno il destriero torrà;
          nè tu puoi morire, Marco,
          per prode nè per acuta spada,
          per clava nè per bellica lancia.
          Tu non temi in terra guerriero:
          ma devi, misèro, morire, Marco,
          per man di Dio, dell’antico uccisore1.

È la stessa cosa? Ci corre! Prima di tutto, c’è qualche differenza di lingua: «destriero» per cavallo, «prode» per guerriero. Poi c’è il costrutto più sforzato e innaturale «per prode nè per acuta spada» invece di quell’altro «per mano di prode armato di spada». Poi ci sono gli epiteti ornanti, «acuta spada», «bellica lancia». Ma sopra tutto c’è la disposizione in linee, insieme con quell’ordine delle parole che non sono sempre dove le metteremo noi: «ma devi, misero, morire, Marco». Per codesta disposizione e codest’ordine principalmente noi proviamo non so qual incanto nel leg-

  1. La morte di Craglievic Marco in Canti.... Illirici di N. Tommaseo: Vol. IV.