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a giuseppe chiarini | 381 |
e Ovidiano il pentametro lasciando da parte lo schema
diffonde intorno lugubre silenzio.
Eppure che ciò sia bene, non oserei affermare!
Anzi nego a dirittura. Hanno acquistata quei versi la facoltà, negata a quelli del Maestro, di potere essere anche pronunziati, com gli antichi, ad accenti ritmici oltre che ad accenti grammaticali? Proprietà che è anche della versificazione nostrana; poichè la parola s’ode, per esempio, si pronunzia a un modo in prosa, a un altro nel verso
s’ode a destra uno squillo di tromba...
a un altro nel verso
s’ode un cauto bisbigliare.
Bene: a quei versi fu data quell’agilità antica? No: tanto è impossibile pronunziare
dìffonde ìntornò lùgubre sìlenziò,
quanto, per non uscire dal Carducci, che ha tutti gli schemi,
dà lungi il rombò dèlla volànte s’odè.
Non hanno dunque migliorato in ciò in cui era desiderabile migliorassero; e invece hanno perduto il loro pregio principale. Questo. I versi del Carducci, pur composti di serie e d’emistichi nostrani, hanno la virtù di suggerire al nostro animo il ricordo degli antichi. Questi altri, così regolari, tutto al più ci faran ripensare ad Ovidio; tutto al più; ma