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a giuseppe chiarini | 375 |
un senario? Come lirico, par che dica al secondo: — Da bravo, leggi, e il tuo senso sarà blandito, anche senza seguire mei pollicis ictum! È la questione degli omeoteleuti. Ovidio alla lettrice poco pratica che avesse recitato.
Quot caelum stéllas tot habet tua Roma puéllas,
e mostrasse d’aver l’orecchio urtato da quell’eco, che poi fu così piacevole, avrebbe detto: Puella, recita meglio! Così:
Quot caelum stellás tot habet tua Roma puéllas:
dove è più la vocalis nymphe che
in fine loquendi
ingeminat voces auditaque verba reportat?
E se qualche accigliato grammatico avesse a lui rimproverato dei pentametri come questi:
obrutus insanis esset adulter aquis,
ponitur ad patrios barbara praeda deos;
avrebbe risposto, prima: E come faresti tu a evitare tali echi, se gli aggettivi terminano come nomi?1 e poi: E chi ti obbliga a pronunziarli a
- ↑ Io credo che se fosse stata in uso la sola pronunzia ritmica, i latini l’avrebbero potuto benissimo scansare questo omeoteleuto. Dice il nostro Guido Mazzoni: «.... devesi osservare che quasi sempre le rime degli esametri e pentametri si palesano per la necessaria rispondenza dell’epiteto col sostantivo corrispondente; e tutti sanno che, come epiteti e sostantivi concordano in genere numero e caso, così i poeti latini usarono disporli nel verso in tal simmetria che fossero gli uni dagli altri divisi per qualche parola; ond’è naturale che quelli