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374 | antico sempre nuovo |
che i suoi versi paiano o non paiano versi secondo la loro pronunzia, Orazio stesso ci fornisce la prova del caso contrario. Chè, come lirico, egli prima di tutto non desunse dai Greci se non metri tetrastici, e se usò la triade, fece anche l’epodo uguale alla strofa e antistrofe, e di questi metri tetrastici non ne usò nemmen uno che avesse tutti e quattro i versi differenti tra loro, e molti ne usò che avevano due sole specie di versi, e alcuni, che una soltanto; e i versi compose con cesure costanti che non trovava ne’ suoi modelli e secondo schemi molto regolari e ben sonanti anche da sè, senza musica; tanto che, se Cicerone avesse potuto ascoltare il parthenion o prosodion della festa secolare, non avrebbe mica detto che fosse nuda paene oratio, anche spogliata del canto, questa, come tante altre, come tutte le altre strofe:
Alme sol curru nitido diem qui
promis et celas aliusque et idem
nasceris, possis nihil urbe Roma
visere maius.
Eppure avrebbe dovuto dire che senza canto sonavano un po’ (noi diciamo invece un bel po’) un po’ diversi; ma bene, a ogni modo; non come nuda oratio.
Il Venusino, dunque, nell’una parte dell’opera sua procura di nascondere (una mica salis su questa affermazione!) il ritmo al lettore anche dotto, nell’altra di rivelarlo anche all’indotto. Come satiro, par che dica al primo: — O vediamo che tu il verso non ce lo trovi, o lo credi diverso da quel ch’è; e invece il verso c’è, ed è un esametro, e non