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370 | antico sempre nuovo |
Non ego deserto iacuissem frigida lecto
nec quererer tardos ire relicta dies1.
Aggiungiamo gli schemi in cui o il primo emistichio dell’esametro o il primo del pentametro, o tutti e due (raro) terminano con parola giambica; gli altri in cui i medesimi terminano con parola anapestica; e i non frequenti in cui l’emistichio primo dell’esametro è semisettenario (e allora termina con parola giambica e parossitona); e avremo uno specchio assai perfetto dell’arte Ovidiana, e vedremo quanto ne sia il ritmo anche senza porre le arsi:
I. Increpet usque licet: tua sum, tua dicar oportet.
Penelope coniunx semper Ulixis ero.
II. Inque tua regnant nullis prohibentibus aula:
viscera nostra, tuae dilacerantur opes.
III. Militat omnis amans et habet sua castra Cupido:
Attice, crede mihi: militat omnis amans.
IV. Quae bello est habilis, Veneri quoque convenit aetas:
turpe senex miles, turpe senilis amor.
V. Quos petiere duces annos in milite forti,
hos petit in socio bella puella toro.
VI. Custodum transire' manus vigilumque catervas2.
E bastino questi cenni. Ora, passando ad altro, l’esame della prassi metrica di Orazio nei Sermoni, la quale è l’opposto dell’Ovidiana, conduce alla medesima conclusione: che i poeti latini avevano di mira anche la recitazione ad accenti grammaticali.
Egli dice che la satira non ha di poetico che tempora certa modosque; che se non differisse dal comune linguaggio pede certo, sarebbe sermo me-