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La seconda specie è quando l’omeoteleuto suona solo con la pronunzia grammaticale. Esempi:

Quot caelum stellas tot habet tua Roma puellas.
Quin etiam absenti prosunt tibi, Cynthia, venti1.

La terza, quando l’omeoteleuto suona soltanto con la pronunzia musicale. Esempio:

caeruleus placidis per vada serpis aquis2.

A queste tre specie se ne può aggiungere un’altra: quando, cioè, l’omeoteleuto non suona nè con l’una pronunzia nè con l’altra. Esempio:

Qualia sub densis ramorum concinit umbris3.

Dobbiamo credere che siano legittimi e sonanti soli gli omeoteleuti della seconda specie? No. Essi sono frequenti; sonavano dunque bene all’orecchio? Ma gli omeoteleuti della prima specie sono invece rarissimi. Ora rarissimi non sarebbero stati, se quella consonanza fosse stata piacevole.

Non era dunque essa piacevole, se non quando la pronunzia ritmica la velava. Dobbiamo allora concludere che siano buoni e regolari soltanto gli

  1. Ov. A.A. I 59. Prop. I 17, 5. Nell’opuscolo citato più su, di P. Rasi, sono molti esempi d’omeoteleuto di questo genere ma in altra sede dell’esametro, come (Hor. A. P. 101).
    Ut ridentibus adrident, ita flentibus adsunt,
    o in altro genere di versi, come nel tetrametro (Laber. So)
    non mammosa, non annosa, non bibosa, non procax
    o tra verso e verso, come (Verg. Aen. V 385 sq.) :ducere dona iube. Cuncti simul ore fremebant
    Dardanidae reddique viro promissa iubebant.
  2. Tib. I 7, 14.
  3. Cat. LXV 13. Si veda il solito bell’opuscolo del Rasi.