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(per questo vedremo), io non ho che rispondere; non sono da tanto; ma posso ricordargli l’inverisimiglianza e pur verità del fatto di tante parole del latino arcaico che rassomigliano a tante altre del neolatino più che ad altrettante del classico. Basti dedro che è più vicino a diero e diedero, che a de-derunt; e filio che è più figlio che filius.

Ora, se vogliamo indagare il tempo in cui era possibile la pronunzia ritmica del verso latino col mettere le arsi dove non erano gli accenti, troviamo il medesimo fatto; strano, ma fatto; chè nella metrica dei comici aveva grande forza l’accento grammaticale; e noi vediamo il loro studio di far sì che l’ictus cadesse su sillaba accentata: il che è indizio che su sillaba non accentata fosse difficile porlo.

Dunque allora l’accento melodico primitivo aveva poca forza o troppa. Troppa, quando si era fuso con l’accento grammaticale posteriore, come in omnibus, mitte (sulle cui iniziali è l’accento espiratorio ed era l’accento melodico); poca, quando l’accento granimatiçale cadeva su sillaba diversa da quella che aveva l’accento primitivo, come in hominibus; in cui la terzultima aveva l’accento espiratorio e la quartultima avrebbe dovuto avere l’accento melodico. Ma allora questo ultimo accento non si sentiva più. Onde la difficoltà per il poeta giambico di porre l’arsi nella penultima di hominibus e omnibus, e sull’ultima di mitte. Non c’era a proteggere il senso della parola, l’accento melodico che prendesse il posto dell’energico spostato.

Ora questi versi senari (perchè di senari si parla principalmente) parevano a Cicerone così abiecti che qualche volta non ci si poteva riscontrare ritmo