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a giuseppe chiarini | 357 |
audiit, bisogna che distinguiamo con una nota quell’i penultima; se poniamo l’ictus sulla seconda di audivit, la nota la dobbiamo porre sulla prima; volendo che le due pronunzie si assomiglino. Ora, per spiegarci audisti per audivisti, ricorreremo con più probabilità di vero all’ipotesi dell’accento antiquato sul di-, o a quella dell’accento primitivo e melodico sull’au-? A questa seconda, mi pare, poichè l’abbiamo già ammessa per audiit. E la troveremo ragionevole osservando che un audivisti con la nota sulla prima (proviamoci a mettercela) dà origine a queste tre pronunzie consimili audívisti, audivísti, audísti, il che non succede nell’altro caso. Succede invece con la mia timida ipotesi, perchè insomma, persistendo nella prima quel primitivo accento melodico, la parola non resta mai sformata e storpiata in modo da non essere più riconoscibile.
Questo accento melodico primitivo esistè per un pezzo, a guardia dell’unità della parola, nelle vicissitudini ritmiche. Perchè vorranno tutti ammettere che è più possibile il movimento dell’ictus per le sillabe a lui dovute, quando la nota alta sulla iniziale salvi l’essenza della parola, che quando tutte le sillabe si oscurino nel modo stesso avanti la prepotenza dell’arsi. E tutti vorranno ammettere che, ad esempio, la pronunzia canó nel primo verso dell’Eneide, sia ben tollerabile anche al nostro orecchio, quando sulla prima lasciamo il suo accento melodico, pur spogliandola del suo accento energico.
Ma, a proposito, chi stupisce di canó, perchè non strabilia avanti virúmque? In latino le enclitiche non si scrivevano attaccate tutte, ma quali sì e