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il cocomero | 327 |
i latini all’aggettivo «caeruleus», il quale Vergilio, per esempio, dà (Aen. III, 194) alla nuvola temporalesca, all’«imber», come dice esso:
caeruleus supra caput adstitit imber
noctem hiememque ferens.....
Nè si dica che tale presso a poco è il colore delle zucche. Queste invece da un altro poeta (Priap. LXXXV, 13) sono chiamate «pallentes».
I belli orti romani.... Ma ci sono ancora. Andate da un contadino di Romagna e troverete quasi sempre l’orticello, come era allora, ai bei tempi di Roma, con quella bella mistura di radicchio e di garofani, di cipolle e di spigo o lavanda. In Romagna non sopravvive solo il nome di Roma, ma tante altre cose; e specialmente della Roma più vera, della Roma agreste. Non si mangiano anche adesso in Romagna le «quadrae» del pane primitivo senza lievito, cotte sulla «testa» o sul «testu»? (Vedi Seneca, Epist. 90, 23 e confronta Verg. Aen. VII, 109 c. 115).
Non è ancora la nostra campagna divisa secondo le misure dei «gromatici», che lineavano ai coloni le «centuriae» loro assegnate?
Persino io sospetto che questa parola «centuria» (la quale si pronunziava «kenturia») si conservi nella parola vernacola «cantîr». E anche gli orti che piacevano a Vergilio, che Vergilio avrebbe voluto cantare, rimangono. Li ha conservati quel fedele conservatore dell’antichità che è il lavoratore della terra, antica madre. Manca soltanto, in tali orti, il ligneo Priapo, con la falce e il rosso palo osceno. I poeti romani scrivevano o fingevano di