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relazioni sull’insegnamento del latino 19

che videro e dalle ansie che provarono nella loro giovinezza, venne a questi poeti queir amore della semplicità e della mediocrità, quel gusto della campagna che informano la loro poesia. Quale doveva loro parere l’Augustus, il grande pacificatore, quali i tre giorni del suo trionfo!

Laetitia ludisque viae plausuque fremebant
Omnibus in templis matrum chorus, omnibus arae.

(Aen. VIII, 717)

E Virgilio aveva bensì, nella sua giovinezza, prestato l’orecchio a un vagito, pieno di promesse; ma aveva poi disperato avanti la sinistra visione del carro che rotola senza più freno! E con quanta dolcezza, piena di gratitudine per se e per tutti, il tribuno di Filippi parla del «figlio» della patria! — Instar veris!

Tutus bos etenim rura perambulat etc.

(Hor. c. IV, 17)

Così presentando ai giovani la poesia di Virgilio e di Orazio sotto questo aspetto, vengo anche a togliere dal loro animo, se vi s’impresse, l’accusa, indegna, d’adulazione fatta dai retori ai due più grandi poeti di Roma.

Il secondo lavoro è una raccolta di canti altissimi; per es. le lodi d’Italia nelle Georgiche, (G. 2, 136) la storia e l’ufficio di Roma nell’Eneide, (Aen. VI, 756) e, con altri, il più sublime di tutti: la solenne testimonianza d’un Gallo, di Rutilio (De reditu suo I, 63):

Fecisti patriam diversis gentibus unam,
Profuit iniustis, te dominante, capi:
Dumque offers victis proprii consortia iuris,
Urbem fecisti quod prius orbis erat.