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la poesia epica in roma 305

è chiamato absolutissimus ed egregius, e da Giovenale tenuis, forse per la sua povertà (egli non possedeva che gloria!), di cui Quintiliano loda il vehemens et poeticum ingenium che non potè maturare per la corta vita, anche Saleio Basso scrisse forse poemi o poemetti mitici1. Ma non molto dopo era chi invece di nuovo attingeva il suo soggetto alla storia: Silio Italico (25-101) di Italica, non si sa se d’Italia o d’Hispania, che cantò la seconda guerra Punica in diciassette libri, seguendo però Vergilio, cui egli, si può dire, adorava. Non pare improbabile che da giovinetto egli scrivesse quel compendio, davvero puerile, della Iliade, che andò per le scuole col titolo Homerus Latinus2. Di lui abbiamo notizie in una lettera di Plinio3. Fu un uomo felice; console nel 68 d. C. resse l’Asia come proconsole. Ebbe voce di delatore sotto Nerone, ma non fu per questo meno onorato. Morì astenendosi dal cibo; si uccise insomma per paura della morte. Lucrezio sapeva quello strano effetto di quella paura4. Vergiliano fu anche P. Papinio Stazio di Napoli (40-96?) che scrisse la Thebaide in dodici libri, e l’Achilleide non potè compire: già il secondo libro è non finito.´

  1. Tac. dial. 5, 9. Quint. X i 90. Iuv. vii 80. Un epigramma di Marziale (V 53), in cui il nome «Basso» è posto come tipico di verseggiatore, senza però indicare Saleio, può essere argomento dei soggetti scelti da Saleio Basso: Colchida quid scribis, quid scribis, amice, Thyesten? Quo tibi vel Nioben, Basse, vel Andromachen?
  2. Lasciando Ex quo al verso 7, e trasponendo nel verso 9 ira e Quis, avremmo la parastichide Italice Sili.
  3. III vii.
  4. Vedi in nota ad Aen. vi 277.