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era troppo retorica1. È in dieci libri e non è finita. Possiamo anche credere che Lucano avrebbe corretto e sfrondato. Sarebbe però rimasto il vizio principale, che è quello di non essere poesia. Del suo tempo fu poeta epico anche Serrano, morto anch’esso immaturamente. Eppure nelle sue opere «puerili», Quintiliano trovava spirito poetico e buon gusto2. E pure di quel tempo fu Petronio, ingegno altissimo, morto nel 66 per comando di Nerone; nelle cui Satirae o nel cui Satiricon è un saggio epico sulla guerra civile cantata da Lucano, saggio che sembra appunto fatto per mostrare come si dovrebbe fare un poema storico. Appartiene pure all’età Neroniana il poeta bucolico T. Calpurnio Siculo che compose, forse, l’elegante panegirico di Pisone. Del resto l’epos istorico veniva già a noia: C. Valerio Flacco Setino Balbo, al tempo di Vespasiano, si volgeva alla più viva fonte di poesia, ai miti, e componeva un poema in otto libri sugli Argonauti. Segue egli bensì Apollonio Rhodio, ma in modo da raccontare succintamente ciò che nel Greco è diffuso e ornato, e ornare invece e allargare ciò che nel modello è sorvolato. Quintiliano afferma che la letteratura latina molto perdè alla sua morte3, e noi dobbiamo riconoscere che molto valsero a fargli fare opera non indegna, la poesia dell’argomento e l’imitazione di Vergilio. Anche il suo contemporaneo Saleio Basso, poeta molto ammirato dagli amici e remunerato da Vespasiano, che nel dialogo Tacitiano´

  1. Quint. X i 90.
  2. X i 89.
  3. Quint. X i 90.