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la poesia epica in roma 301

andò. Un altro poeta da tali adunanze, rinomato sì come elegiaco e sì come epico1, piacevole uomo (come era gran necessità a simili declamatori) fu Iulio Montano. Egli aveva il vezzo, comune agli altri, ma in lui, si capisce, più spiccato, di descrivere albe e tramonti2. Una volta, dunque, recitava. Ecco subito la descrizione d’un’alba, con la rondine che imbocca i rondinini suoi. Varo, un cavaliere Romano cacciatore di cene che si guadagnava con la sua mala lingua, fa: Buta va a letto. Atilio Buta era uno scapestrato che faceva di notte giorno. Di lì a poco eccoti la descrizione d’un tramonto. E Varo: Cosa dice? è già notte: andiamo a salutare Buta, che si leva. Un altro recitatore era Arbronio Silone, che, secondo Seneca, aveva un magnifico ingegno, cui non solo sciupò ma macchiò, e che lavorava sulla grande Iliade3. E c’era Rabirio, cui Velleio mette quasi a paro con Vergilio (o Velleio, adulatore di Tiberio!) e Ovidio dice magni oris4. Nel suo poema, o in uno de’ suoi poemi, entrava Antonio con una esclamazione più sublime che intelligibile. Era questo poema sulla guerra Actiaca e Alessandrina? E non sono questi i soli poeti di quel tempo e di quel modo. De’ migliori era certo l’autore del panegirico di Messalla, che pare opera giovanile di buono e colto ingegno, se non appunto

  1. Ovid. ex Ponto IV xvi 11.
  2. Sen. ep. cxxii 11. Cf. Apocol. 2 Nimis rustice acquiescunt oneri poetae, non contenti ortus et occasus describere, ut etiam medium diem inquietent. tu sic transibis horam tam bonam?
  3. Sen. suas. ii 19.
  4. Vell. II xxxvi 3. Ovid. 1. c. 5. Sen. benef. VI iii 1.