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la poesia epica in roma |
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andò. Un altro poeta da tali adunanze, rinomato sì come elegiaco e sì come epico1, piacevole uomo (come era gran necessità a simili declamatori) fu Iulio Montano. Egli aveva il vezzo, comune agli altri, ma in lui, si capisce, più spiccato, di descrivere albe e tramonti2. Una volta, dunque, recitava. Ecco subito la descrizione d’un’alba, con la rondine che imbocca i rondinini suoi. Varo, un cavaliere Romano cacciatore di cene che si guadagnava con la sua mala lingua, fa: Buta va a letto. Atilio Buta era uno scapestrato che faceva di notte giorno. Di lì a poco eccoti la descrizione d’un tramonto. E Varo: Cosa dice? è già notte: andiamo a salutare Buta, che si leva. Un altro recitatore era Arbronio Silone, che, secondo Seneca, aveva un magnifico ingegno, cui non solo sciupò ma macchiò, e che lavorava sulla grande Iliade3. E c’era Rabirio, cui Velleio mette quasi a paro con Vergilio (o Velleio, adulatore di Tiberio!) e Ovidio dice magni oris4. Nel suo poema, o in uno de’ suoi poemi, entrava Antonio con una esclamazione più sublime che intelligibile. Era questo poema sulla guerra Actiaca e Alessandrina? E non sono questi i soli poeti di quel tempo e di quel modo. De’ migliori era certo l’autore del panegirico di Messalla, che pare opera giovanile di buono e colto ingegno, se non appunto
- ↑ Ovid. ex Ponto IV xvi 11.
- ↑ Sen. ep. cxxii 11. Cf. Apocol. 2 Nimis rustice acquiescunt oneri poetae, non contenti ortus et occasus describere, ut etiam medium diem inquietent. tu sic transibis horam tam bonam?
- ↑ Sen. suas. ii 19.
- ↑ Vell. II xxxvi 3. Ovid. 1. c. 5. Sen. benef. VI iii 1.