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egli cita il Bellum Siculum (quello con Sesto Pompeo), il cui primo libro gli pareva eccellente e da porre, se i seguenti fossero stati conformi, l’autore subito dopo Vergilio1. Valerio Probo cita un emistichio rerum Romanarum. A lui è diretta la ii del IV libro delle epistole ex Ponto. Ovidio lo chiama, vates magnorum maxime regum; dice che egli ha dato al Lazio carmen regale2. Seneca dopo aver ricordato molte narrazioni intorno alla morte di Cicerone, aggiunge che nessuno la pianse meglio di Cornelio Severo, e ne riporta i versi. Dello stesso tempo è Sestilio Ena di cui rimane un verso, imitato da uno di Cornelio Severo3. Era di Corduba, di più ingegno che studio, ineguale, e aveva a tratti quell’enfasi, quel non so che di straniero, che Cicerone riconosceva appunto nei poeti Cordubensi4. In una seduta, come già si usavano, poetica in casa Messalla Corvino, dovendo leggere sulla proscrizione triumvirale, lesse a bel principio:
Deflendus Cicero Latiaeque silentia linguae,
che non solo assomiglia al verso accennato di Severo5, ma agli epigrammi Varroniani (chè di Varrone sono) su Naevio e Plauto. Tra l’assenso e il plauso degli altri, si leva su Asinio Pollione: Messalla, tu sei padrone in casa tua, ma io non starò ad ascoltare costui, al quale paio muto. E se ne