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relazioni sull’insegnamento del latino | 17 |
dava, come ai miei colleghi così a me, di non trascurare l’ispirazione educativa che viene dagli scrittori di Roma. Come io la ho sentita in me, così sempre mi sono studiato di farla sentire altrui. Ma non posso affermare di essere riuscito sempre e coi più, a qualche buon effetto. Nè perciò ho perduto cuore e fede: gli studi classici, per me, hanno il fine di provare e cernire i buoni tra i meno buoni, e avviarli alla lor via. Ai meno buoni gioverà pur sempre aver fatto quel poco di strada, se non per altro, perchè possano a suo tempo, o afforzare i loro figli a superare quegli ostacoli o distoglierli di mettersi per quel cammino. Ma anche per altre ragioni gioverà loro, specialmente se si seguano le norme che l’E. V. ci ha voluto indicare.
Però seguirle quest’anno con la genialità che meritano, e mostrarne i frutti vistosi e abbondevoli che è ragionevole sperare, non ho potuto nè potrò come vorrei. Noi abbiamo due mesi di vacanza, nei quali la mente si prepara più che non si riposi, si arma più che non dorma. Quei due mesi sono necessari a me per preparare i miei esercizi, ordinare le mie letture. Ora, poichè l’ultimo autunno mi passò in altri pensieri, voglia l’E. V. considerare che quanto le dirò d’aver fatto e di fare è meno di ciò che voglio e posso fare.
Le traduzioni, che oltre i testi d’ordinaria lettura si assegnano per saggiare il profitto e il volere del discepolo, ho curato che avessero virtù di commuovere con antichi palpiti i cuori nuovi. Ricordo: Roma In pericolo, I volones di Gracco, La marcia di Claudio Nerone, (Tito Livio: excerpta dal libro XXVI, 9-11, dal XXIV, 15-16, dal XXVII, 43-50);