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del dio d’Augusto nell’azione dell’Eneide, fanno contrasto, prima d’ogni altra cosa, la profezia dell’ombra di Creusa, profezia che renderebbe inutile e falso tutto il libro III se si pensa che dovesse rimanere1. E strano ne uscirebbe in molti punti anche il IV, poichè Didone, dopo sentita tale profezia Illic... regnumque et regia coniunx Parta tibi, male potrebbe credersi ingannata dal Troiano. Nel passo accennato è un verso, il 787, incompiuto. Che concluderne? Questo forse: i tre versi

          785Non ego Myrmidonum sedes Dolopumve superbas
          Aspiciam aut Grais servitum matribus ibo
          Dardanis et divae Veneris nurus,

sono la correzione introdotta dal poeta, che avrebbe tolto invece i 780-84, e avrebbe diversamente rimaneggiato il tutto. E nel fatto di Creusa doveva entrare, con quale effetto di lagrime ci è dato appena imaginare e molto rimpiangere, Andromache. Lo provano le due lacune:

II

Congeritur, pueri et pavidae longo ordine matres766
Stant circum.

III

Quid puer Ascanius? superatne? et vescitur aura339
Quae tibi iam Troia

nel qual ultimo luogo incerta è la lezione e l’interpunzione.

Ora imaginiamo che i versi 761-7 del II nella prima redazione non ci fossero; e lo possiamo imaginare facilmente perchè meglio si congiungono, senza essi, i versi 760 e 768

  1. ii 780-4.