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tali e quali: Aiace che sdrucciola nel fimo, e Dolone e Odysseo con Diomede che escono a spiare: poi sono due prodi amici che muoiono l’uno per l’altro, e anche quello di sdrucciolare nella corsa è fatto occasione a una prova di amore; dall’altra, prima un episodio della leggenda, l’incendio delle navi, quasi ripugnante; poi l’eccezione dell’unica madre che non vuole l’incendio e non vuole abbandonare il figlio; poi ancora il pathos tragico nel destinare questa unica madre alla vista del teschio sanguinante del suo figliuolo.

Esaminiamo un altro punto, e principalissimo questo. Caesar tiene dunque il mezzo del tempio, e nel tempio sono di marmo pario i suoi antenati Troiani e il gentis auctor Apollo. La glorificazione di Cesare in vero avviene nel poema e per la parte che ha Apollo nel fatale viaggio di Enea e per la affermata derivazione di Cesare da Enea stesso. Questo in generale; ma in particolare? Per il primo punto, vediamo che ad Apollo si rivolge Enea:

          Da propriam, Thymbrace, domum; da moenia fessis
          Et genus et mansuram urbem; serva altera Troiae
          Pergama, reliquias Danaum atque inmitis Achilli1.

Apollo dà prima, in Delo, il responso di cercare la madre antica. Quando gli esuli lo hanno male interpretato, egli manda i Penati a dichiarare a Enea, che l’antica madre è l’Italia. Quella che del suo nume fu invasata senza effetto, Cassandra, già parlava ad Anchise d’Italia e di Hesperia2. Le Har-

  1. iii 85 e segg.
  2. iii 147-171; ib. 183.