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272 | antico sempre nuovo |
dopo il qual riassunto delle Georgiche, è quello delle Bucoliche nelle parole:
Carmina qui lusi pastorum;
e giova ricordare il proemio personale all’Eneide1. Orazio insomma dava all’amico la gloria dell’elegante genere Alessandrino, sì negli idillii Theocritei e sì nelle didascaliche di Nicandro, di Euphorione, di Arato, di Parthenio, di Eratosthene. Nè il giudizio del Venusino era sbagliato, nè altri poteva ragionevolmente aspettare il forte epos dal poeta dei pastori e anche da quello degli agricoltori; sebbene... sebbene già nel primo libro delle Georgiche era un passo che possiamo imaginare più presto noto che il rimanente, i segni della morte di Cesare (464514), di colorito eroico; sebbene anche nelle Bucoliche, nella quarta ecloga, egli si mostrasse capace di cantare maiora; sebbene, prima di accingersi alle ecloghe, egli disegnasse un poema epico: cum res romanas incohasset offensus materia ad bucolica transiit, dice Donato2; e Servio: significat (con le parole cum canerem reges et proelia) aut Aeneidem aut gesta regum Albanorum, quae coepta omisit, nominum asperitate deterritus. Dal che si deve ricavare che se Orazio tra le due candide anime di Vario e di Vergilio spartiva l’epos, assegnando il forte a Vario, il molle atque facetum (per me sono aggettivi di epos anche questi) a Vergilio, agli altri e specialmente a Vergilio stesso la spartizione non doveva garbare. Non mancavano quindi al modesto