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la poesia epica in roma | 269 |
di Alpino, sebbene nel libro primo, non è probabilmente anteriore all’altra dove è lo strano sputo di Furio, che è del secondo. Quella è la difesa del giudizio dato da Orazio intorno alla satira Luciliana, e par certo composta dopo che quel giudizio, fatto pubblico, ebbe contradizioni e censure: dunque fu aggiunta in una, diremmo noi, seconda edizione del libro subscribe libello1. Ma come l’uomo i cui carmi erano pieni di contumelie per Cesare2, cantò le guerre di Cesare? Cesare attrasse Catullo e attrasse Calvo, ricordiamoci3; e il primo forse con le benemerenze che il grande conquistatore ebbe coi Transpadani4. Non può essere stato il medesimo con Bibaculo cremonese? E poi Bibaculo visse a lungo e forse egli mirava col suo poema ad acquistarsi le grazie non di Cesare più, ma di Ottaviano. Certo al tempo delle prime satire di Orazio quel poema doveva essere fresco e nelle mani di tutti, quando il poeta gallico, dalla pancia piena di trippa (pingui tentus omaso), era vecchio, vecchio mentre lo scriveva e mentre lo pubblicava.
Le guerre di Cesare inspirarono, oltre Cicerone e Bibaculo, un altro poeta, Gallo anch’esso come l’ultimo, ma Transalpino: P. Terenzio Varrone di Atace nella provincia Narbonense, nato nel 6725. Egli fu prima della scuola o, vogliamo dire, dell’indirizzo dei νεώτεροι che non piacevano a Cicerone: scrisse elegie, un’Ephemeris, una Chorographia, gli